martedì 31 dicembre 2013

L'anno che verrà

L’anno che verrà!!!!
Non è la canzone di Lucio Dalla, fosse cosi saremmo a cavallo; purtroppo è la speranza, assai minima, di poter entrare in un 2014 diverso dagli anni precedenti.
Il 2013 si chiude con un bilancio drammatico purtroppo. Drammatico per le conseguenze di una crisi economica che ha messo in ginocchio il Paese; drammatico per i tanti che hanno perso il lavoro; per coloro che non ce l’hanno fatta e si sono tolti la vita; drammatico per i risvolti istituzionali di una crisi di identità della politica e di ciò che essa oggi rappresenta nell’immaginario collettivo; drammatico soprattutto però per il buio sempre più intenso che si vede all’orizzonte, come se una fitta coltre di nebbia avesse investito l’intero stivale senza possibilità di penetrazione di alcun raggio di luce.
Sto scrivendo questo articolo che sono le otto di oggi 31 dicembre ma già immagino gli sproloqui che stasera ci propineranno le tv nazionali e private da parte di persone che ormai nulla hanno più da darci se non il farci assistere alle recite di parti già scritte.
Essi per certi versi sono i protagonisti dell’anno che se ne va, protagonisti in ogni senso per ciò cui abbiamo assistito. Napolitano, il nuovo re di Roma, colui che ha inventato il presidenzialismo reale, quello che tiene ostaggio il Parlamento sotto il continuo ricatto di una farsa di ventilate dimissioni; poi c’è Silvio, l’eterno onnipresente, latore di messaggi diabolici, che stranamente, in una Italia credulona e con un livello culturale ai minimi storici, continuano a fare breccia nella testa delle persone; infine lui, Beppe Grillo, il buffone di corte, colui che si fa gioco delle disgrazie delle persone, innalzando la bandiera della rivoluzione al solo scopo di rimpinguare il suo già gonfio portafogli, speculando sui sentimenti più cari di noialtri martoriati da uno Stato che assume sempre più le sembianze di un vampiro.
Tre protagonisti di una Italia resa irriconoscibile, priva dei valori fondanti e per nulla parente di quell’Italia che nel dopo guerra seppe risollevarsi dalla miseria e dalle distruzioni grazie a grandi condottieri come De Gasperi, Togliatti, Parri, Pertini e poi Moro e Berlinguer.
“Mi han detto che il nuovo anno porterà una trasformazione…” scriveva il grande Lucio Dalla, ma se le premesse sono quelle cui abbiamo assistito nell’ultima parte di questo 2013 allora si scampi chi può.
Dicembre per l’Italia e la sinistra ha segnato l’arrivo sulla scena politica nazionale di un nuovo protagonista: Matteo Renzi, eletto segretario del PD.  Un nuovo buffone di corte, una impennata per la spettacolarizzazione della politica.
Quale speranza per un popolo che dovrebbe affidare le proprie sorti ad un nuovo rampante figliol prodigo di quella classe politica nella quale è stato allevato e che da quando ha perso i denti da latte altro non fa che complottare per scalzare i suoi stessi genitori adottivi come se fossero dei sacchi di patate da buttare al macero? Se come afferma lui non ha nulla a che spartire con gli Alfano, i Letta e le metodologie della vecchia politica, come si spiegano le manovre complottiste sue e dei suoi con D’Alema e Berlusconi per affossare l’elezione a Presidente della Repubblica di Marino prima e di Prodi poi?
Su una cosa con Renzi siamo d’accordo: l’Italia ha bisogno di sinistra, peccato però che lui sia un ambi destro.
Un ultima considerazione la voglio dedicare alla mia terra, quella da cui sono partito oltre un ventennio orsono ma dove conto un giorno di tornare: la Lucania.
Forse la Lucania oggi è lo specchio reale della crisi, non solo economica, che attraversa l’Italia. Una regione, la nostra, ricca di risorse; da ogni parte si avverte la sensazione di una terra che potrebbe essere ai vertici dell’economia europea ma che invece è relegata al ruolo di cenerentola in un mondo dove gli abbuffini si azzuffano per accaparrarsi una fetta della torta. Le elezioni regionali di Novembre hanno segnato il punto più basso della nostra democrazia; un Presidente plurindagato e senz’altro parte di quel sistema di potere che impoverisce la Basilicata è stato eletto da una minoranza di lucani mentre la stragrande maggioranza ha deciso di lavarsi le mani come tanti Ponzio Pilato delegando a pochi la scelta di decidere anche le proprie sorti. Eppure parliamo di una terra fatta di uomini pieni orgoglio, gente abituata a non togliersi il cappello davanti a nessuno, tantomeno davanti a notabili boriosi. L’inno dei lucani “omme se nasce, brignati se more” recita che il vero lupo è il piemontese; nulla di più sbagliato, i lupi ce li abbiamo in casa e divorano non solo le nostre risorse ma anche i sogni dei nostri ragazzi. Ai miei conterranei lucani, in questo ultimo giorno di questo anno drammatico, rivolgo il mio augurio e il mio appello. Rompiamo le nostre catene, e come recita un nostro antico proverbio ricordiamoci che “ricco e pomposo si veste di ciucciagine, scalzo e cencioso veste filosofia”; Abbiamo la nostra storia, il ricordo di uomini grandi come Crocco, Scotellaro, Novello e Carlo Levi a ricordarci chi siamo, abbiamo una dignità da riconquistare ed un futuro da costruire per i nostri ragazzi; facciamo si che il 2014 la fotografia della nostra Lucania sia quella di una terra e di un popolo che sa reagire e non quella delle frane di Montescaglioso.
Buon 2014 a tutti

Tonino Ditaranto

2 commenti:

Ambrogio ha detto...

Carissimo amaro lucano si possono anche condividere le tue esternazioni, ma, visto che i condottieri se ne sono andati, non serve puntare sullo zero, si perde in partenza. A proposito del Papa che ne dici? Non è europeo e nemmeno lucano, questo non vieta parlarne.

Franco Bifani ha detto...

Ambrogio, Papa Francesco è un unicum, tanto per stare tra gli amari, non simripeterà mai più il miracolo. Sono convinto che, in Vaticano, na non solo, cardinali e monsignori si stanno mangiando dita e mani, per averlo eletto e per doverlo sopportare. Forse, sperano in un attentato, nel corso della sua visita in Medioriente, per sostituirlo con un conformista ciellino post-tridentino, modello Scola. I sacerdoti, come i politici, qui in Italia, si comportano nello stesso, medesimo modo, con la gente, che siano poi gli elettori o i fedeli, ossia standosene come ragni nei loro buchi -sagrestie o sezioni- lontani dal volgo plebeo che nome non ha. Papa Bergoglio provoca in loro solo imbarazzo, fastidio ed insofferenza. I lupi perdono il pelo, ma non il vizio, e così i politici e le gerarchie clericali, soprattutto ai livelli più elevati.