La terra a chi lavora
Forse è utile ricordare, innanzitutto, quale era il contesto ed il tempo della politica nazionale entro cui si produssero le tragiche vicende di Montescaglioso.
Era trascorso poco più di un anno dalle elezioni del 1948. Ricordo la fiducia, persino la baldanza con cui comunisti e socialisti erano arrivati a quella prova. E invece era venuto il trionfo del blocco clericale, sorretto prima di tutto da Papa Pacelli lanciato in una furente campagna che aveva coinvolto chiese, conventi, congregazioni, con toni apocalittici e richiami obbliganti al vincolo religioso.
Fu per noi “rossi” la sconfitta secca e il tempo di una amara riflessione, e anche delle prime dure divergenze fra comunisti e socialisti.
E tuttavia fu anche il tempo in cui emerse, persino con nostra sorpresa, la straordinaria novità delle insurrezioni popolari nei latifondi del Sud: terre marchiate dai feudi nobiliari e da una desolata miseria, che segnava soprattutto le masse contadine. La dura fame del latifondo. Agì in quelle terre tormentate una seminazione rossa: penso ad esempio alla figura di Adele Bei, a quel ceppo napoletano guidato da Giorgio Amendola e Mario Alicata, alla difficile lotta di Li Causi in Sicilia contro la mafia risorta. E si compì allora un incontro fra brani del pensiero meridionale di antico respiro (penso ad es. a Salvemini) con una soggettività comunista ormai radicata in Italia e ormai fortemente attiva anche nel mondo contadino del meridione, sul quale sfruttatori antichi e nuovi ancora pretendevano di esercitare il proprio dominio parassitario.
E in quell’incontro noi comunisti riscoprimmo la freschezza e l’attualità di quel breve e giovanile scritto di Gramsci della metà degli anni Venti: “Alcuni temi sulla quistione meridionale”, ove per la prima volta quel grave tema non veniva ridotto a contrapposizione geografica nord/sud, ma veniva affrontato quale componente di un conflitto di classe che segnava il modello di sviluppo dello Stato italiano fin dai suoi albori. Una lettura da cui emergevano le responsabilità della borghesia italiana, del sud come del nord, le sue connivenze con il parassitario ceto degli agrari e l’importanza di un’alleanza tra le lotte contadine che reclamavano terra e riforma agraria e le nuove battaglie del proletariato urbano che rimetteva in moto le fabbriche del nord.
E in quel rivolgimento lucano, dal mio posto romano di giornalista militante, vedevo emergere sulla scena due protagonisti nuovi ed antichi allo stesso tempo: i contadini e le donne. Due insorgenze che da quella terra lucana si dilatavano ancora più a Sud, in Puglia, Calabria fino alla punta estrema della Sicilia.
Le donne che spalancavano la porta di casa, si gettavano a semina nei campi trascinando per mano anche i fanciulli, che conoscevano orgogliosamente le manette. Le donne protagoniste di cui presto Angelina Mauro ne divenne alto simbolo.
Questo diceva all’Italia ormai quel sito di Montescaglioso. E tale è stata la vicenda di quelle plaghe, da riaprire nel Paese l’antica, dolente questione meridionale, rialzando in cielo quella annosa rivendicazione: la terra ai contadini. Ed evocando insieme una dolente domanda di libertà. Tutta l’annosa controversia sul Sud ...
Lo scontro di quelle nude masse contadine diveniva così controversia sul volto del Paese, e l’antica domanda di terra veniva a saldarsi all’irrompere del fordismo dentro le nuove fabbriche del Novecento. Ecco il grumo di nuove domande sociali che sommuoveva quella Patria italiana. E il Sud, come aveva parlato dalle vostre rivolte lucane, restò terra incancellabile del discorso sulla nazione.
Auguri a voi cittadini di Lucania. Grazie per ciò che avete dato alla mia nazione, ai contadini assetati di terre, alle nostre speranze di libertà e giustizia.
Altre volte, in anni ormai lontani, venni nelle vostre terre, che mi salvarono dalle mani della polizia nera. Auguro buon lavoro per questo convegno, che torna a riflettere su questioni ancor oggi brucianti ed al quale io, data la mia avanzata età, non potrò partecipare. Cercate ancora.
Pietro Ingrao
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