L’anno che verrà!!!!
Non è la canzone di Lucio Dalla, fosse cosi saremmo a
cavallo; purtroppo è la speranza, assai minima, di poter entrare in un 2014
diverso dagli anni precedenti.
Il 2013 si chiude con un bilancio drammatico purtroppo. Drammatico
per le conseguenze di una crisi economica che ha messo in ginocchio il Paese;
drammatico per i tanti che hanno perso il lavoro; per coloro che non ce l’hanno
fatta e si sono tolti la vita; drammatico per i risvolti istituzionali di una
crisi di identità della politica e di ciò che essa oggi rappresenta nell’immaginario
collettivo; drammatico soprattutto però per il buio sempre più intenso che si
vede all’orizzonte, come se una fitta coltre di nebbia avesse investito l’intero
stivale senza possibilità di penetrazione di alcun raggio di luce.
Sto scrivendo questo articolo che sono le otto di oggi 31
dicembre ma già immagino gli sproloqui che stasera ci propineranno le tv
nazionali e private da parte di persone che ormai nulla hanno più da darci se
non il farci assistere alle recite di parti già scritte.
Essi per certi versi sono i protagonisti dell’anno che se ne
va, protagonisti in ogni senso per ciò cui abbiamo assistito. Napolitano, il
nuovo re di Roma, colui che ha inventato il presidenzialismo reale, quello che
tiene ostaggio il Parlamento sotto il continuo ricatto di una farsa di
ventilate dimissioni; poi c’è Silvio, l’eterno onnipresente, latore di messaggi
diabolici, che stranamente, in una Italia credulona e con un livello culturale
ai minimi storici, continuano a fare breccia nella testa delle persone; infine
lui, Beppe Grillo, il buffone di corte, colui che si fa gioco delle disgrazie
delle persone, innalzando la bandiera della rivoluzione al solo scopo di rimpinguare
il suo già gonfio portafogli, speculando sui sentimenti più cari di noialtri
martoriati da uno Stato che assume sempre più le sembianze di un vampiro.
Tre protagonisti di una Italia resa irriconoscibile, priva
dei valori fondanti e per nulla parente di quell’Italia che nel dopo guerra
seppe risollevarsi dalla miseria e dalle distruzioni grazie a grandi
condottieri come De Gasperi, Togliatti, Parri, Pertini e poi Moro e Berlinguer.
“Mi han detto che il nuovo anno porterà una trasformazione…”
scriveva il grande Lucio Dalla, ma se le premesse sono quelle cui abbiamo
assistito nell’ultima parte di questo 2013 allora si scampi chi può.
Dicembre per l’Italia e la sinistra ha segnato l’arrivo
sulla scena politica nazionale di un nuovo protagonista: Matteo Renzi, eletto
segretario del PD. Un nuovo buffone di
corte, una impennata per la spettacolarizzazione della politica.
Quale speranza per un popolo che dovrebbe affidare le
proprie sorti ad un nuovo rampante figliol prodigo di quella classe politica
nella quale è stato allevato e che da quando ha perso i denti da latte altro
non fa che complottare per scalzare i suoi stessi genitori adottivi come se
fossero dei sacchi di patate da buttare al macero? Se come afferma lui non ha
nulla a che spartire con gli Alfano, i Letta e le metodologie della vecchia
politica, come si spiegano le manovre complottiste sue e dei suoi con D’Alema e
Berlusconi per affossare l’elezione a Presidente della Repubblica di Marino
prima e di Prodi poi?
Su una cosa con Renzi siamo d’accordo: l’Italia ha bisogno
di sinistra, peccato però che lui sia un ambi destro.
Un ultima considerazione la voglio dedicare alla mia terra,
quella da cui sono partito oltre un ventennio orsono ma dove conto un giorno di
tornare: la Lucania.
Forse la Lucania oggi è lo specchio reale della crisi, non
solo economica, che attraversa l’Italia. Una regione, la nostra, ricca di
risorse; da ogni parte si avverte la sensazione di una terra che potrebbe
essere ai vertici dell’economia europea ma che invece è relegata al ruolo di
cenerentola in un mondo dove gli abbuffini si azzuffano per accaparrarsi una
fetta della torta. Le elezioni regionali di Novembre hanno segnato il punto più
basso della nostra democrazia; un Presidente plurindagato e senz’altro parte di
quel sistema di potere che impoverisce la Basilicata è stato eletto da una
minoranza di lucani mentre la stragrande maggioranza ha deciso di lavarsi le
mani come tanti Ponzio Pilato delegando a pochi la scelta di decidere anche le
proprie sorti. Eppure parliamo di una terra fatta di uomini pieni orgoglio,
gente abituata a non togliersi il cappello davanti a nessuno, tantomeno davanti
a notabili boriosi. L’inno dei lucani “omme se nasce, brignati se more” recita
che il vero lupo è il piemontese; nulla di più sbagliato, i lupi ce li abbiamo
in casa e divorano non solo le nostre risorse ma anche i sogni dei nostri
ragazzi. Ai miei conterranei lucani, in questo ultimo giorno di questo anno
drammatico, rivolgo il mio augurio e il mio appello. Rompiamo le nostre catene,
e come recita un nostro antico proverbio ricordiamoci che “ricco e pomposo si
veste di ciucciagine, scalzo e cencioso veste filosofia”; Abbiamo la nostra
storia, il ricordo di uomini grandi come Crocco, Scotellaro, Novello e Carlo
Levi a ricordarci chi siamo, abbiamo una dignità da riconquistare ed un futuro
da costruire per i nostri ragazzi; facciamo si che il 2014 la fotografia della
nostra Lucania sia quella di una terra e di un popolo che sa reagire e non
quella delle frane di Montescaglioso.
Buon 2014 a tutti
Tonino Ditaranto
2 commenti:
Carissimo amaro lucano si possono anche condividere le tue esternazioni, ma, visto che i condottieri se ne sono andati, non serve puntare sullo zero, si perde in partenza. A proposito del Papa che ne dici? Non è europeo e nemmeno lucano, questo non vieta parlarne.
Ambrogio, Papa Francesco è un unicum, tanto per stare tra gli amari, non simripeterà mai più il miracolo. Sono convinto che, in Vaticano, na non solo, cardinali e monsignori si stanno mangiando dita e mani, per averlo eletto e per doverlo sopportare. Forse, sperano in un attentato, nel corso della sua visita in Medioriente, per sostituirlo con un conformista ciellino post-tridentino, modello Scola. I sacerdoti, come i politici, qui in Italia, si comportano nello stesso, medesimo modo, con la gente, che siano poi gli elettori o i fedeli, ossia standosene come ragni nei loro buchi -sagrestie o sezioni- lontani dal volgo plebeo che nome non ha. Papa Bergoglio provoca in loro solo imbarazzo, fastidio ed insofferenza. I lupi perdono il pelo, ma non il vizio, e così i politici e le gerarchie clericali, soprattutto ai livelli più elevati.
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