La nave Discordia
Trovo molte affinità tra la tragica vicenda della nave Concordia Costa e la povera nave -forse sarebbe più esatto definirla “carretta del mare”- che è la nostra Italietta. Da quando, il 26 gennaio del '94, un comandante inetto, bugiardo e fanfarone, in un messaggio di 9 minuti 9, sul tipo del famoso “discorso della Corona, annunciò la sua “discesa in campo”, per salvarla dall'incagliarsi nelle perfide acque del Mar dei Comunisti – popolato da una fauna e da una flora di coglioni, sporchi, atei e pedofagi- essa è stata trascinata, come la feuille morte della Chanson d’automne di Verlaine, deçà, delà; ha sbattuto contro scogli infidi, è stata arrembata da loschi figuri che ne hanno depredato l’equipaggio, costituito da noi, poveri omarini della strada, umili sudditi del governo di turno. Ne hanno saccheggiato ogni suppellettile, le tappezzerie, le stoviglie, gli arredi, hanno distrutto, nella ciurma, onore e dignità, hanno svilito, vilipeso, avvilito il lavoro onesto e dignitoso di tanti, troppi. Dietro di sé hanno lasciato anche dei cadaveri, di gente morta nel fisico, ma, soprattutto, nello spirito. La povera nave Discordia Italia, dopo aver superato, tra rollii e beccheggi, livide tempeste, procelle tenebrose, uragani violentissimi, sbattuta avanti e indietro, a sinistra come a destra, pare ora arenata su scogli perfidi, che ne hanno squarciata, irrimediabilmente, la struttura. Il comandante e gli alti ufficiali hanno tagliato la corda in tempo, fingendo, addirittura, riottosità e ritrosia; in plancia, sui ponti, nelle stive, nella sala-macchine, per i corridoi, nelle cabine, invasi dall'acqua, putrida e salsa, che essi vi hanno lasciato penetrare, noncuranti, ci sono forse stati episodi di eroismo, come quello di Gianpetroni. Un altro equipaggio ha cercato di mettersi al timone della Discordia Italia, e tenta ora di disincagliarla, tra l'indifferenza compiaciuta di altre navi, al largo, maestose e sicure, nella loro rotta, imperturbabili, ben calibrate e studiate per potersi opporre a qualsiasi mare ed oceano, superbe ed arroganti, nel loro filare sulle onde, sfidando i venti contrari. Però, il comandante e l'equipaggio che hanno portato alla rovina ed alla morte la nave Discordia, insieme con tanti membri dell'equipaggio e parecchi passeggeri, al contrario, si spera, del comandante Schettino e di chi dovrà, con lui, dividere pesanti colpe e gravi responsabilità, si stanno malignamente preparando ad un nuovo, furtivo arrembaggio, ancor più disastroso, per dare il colpo di grazia definitivo a chi ancora è sopravvissuto, insieme alle poche cose che ancora si trovano al loro posto. Ma, come sulla Concordia Costa, così anche sulla nave Discordia Italia, tanti armatori, parecchi alti papaveri in plancia, troppi elementi della ciurma, molti passeggeri, fino all’ultimo, hanno tollerato certe fanfaronate del comandante, certi suoi adeguamenti ad inchini, baciamano, salamelecchi, baci in bocca, abbracci e saluti a chi di dovere; hanno chiuso non uno, ma entrambi gli occhi dinnanzi a deviazioni di rotta infami, deliranti, scellerate. Ed entrambi i nocchieri, nei paesi d’origine, possono contare su vaste masse di difensori e sostenitori, convinti ed accaniti. Ora, come Caifa ed Hanna, si stracciano le vesti e addossano tutte le colpe al Giuda di turno, al capro espiatorio di comodo e gli rifiutano la restituzione delle trenta monete del tradimento di una nazione. Sono improbabili, comunque, impiccagioni, conseguenti a pentimenti e rimorsi per il degrado perpetrato e la compravendita di un Paese, abitanti compresi.
Franco Bifani
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