Carissimi amici, carissimi compagni,
sono appena tornato dal corteo del Primo Maggio, come ogni
anno, ma con una rabbia maggiore dentro che ti spinge a riflettere una volta di
più su ciò che vuol dire Primo Maggio.
Mi rendo conto del grandissimo rischio di essere apostrofata
come una giornata piena di retorica che corre la festa dei lavoratori e
diversamente non potrebbe essere se si considera lo spaventoso buco nero in cui
è caduto l’intero mondo del lavoro; del resto stiamo vivendo la continuazione
di un ventennio in cui le truppe delle grandi lobbie finanziarie hanno portato
con veemenza uno dei più feroci attacchi al mondo del lavoro e al sacrosanto
diritto dei lavoratori di vivere con dignità la propria vita del frutto del
proprio lavoro.
E non potrebbe del resto che definirsi retorica se ci
fermassimo solo a guardare la passerella dei tanti bei cortei con tanto di
banda musicale e primi cittadini con la fascia in testa al corteo pronti ad imbellettarci di frasi fatte e
scontate, divenute nel tempo irritanti e privi di contenuto.
Questo è il grande rischio che corre il Primo Maggio ma è
anche, purtroppo, la sensazione che in tanti ormai avvertono.
Ieri sera qualcuno ha postato la foto di un Primo Maggio di
trenta anni fa; alcune bandiere rosse e tante facce di lavoratori con sul volto
scolpito i segni della fatica, (alcuni dei quali purtroppo non più presenti tra
noi), ma con il sorriso sulle labbra fieri di essere li nella piazza a
testimoniare quanto grande fosse per loro il simbolo del diritto al lavoro e
alla libertà. Una foto che mi ha inorgoglito, che ha rigenerato in me quella
volontà di continuare a combattere e rifiutare la resa.
Se c’è un Primo Maggio che non deve sapere di retorica è
questo Primo Maggio.
Accettare di far passare il Primo Maggio per una semplice
commemorazione è sinonimo di resa che non possiamo permetterci ed è giusto quello
che i nemici dei Lavoratori vogliono per renderci schiavi e aumentare il loro
potere ricattatorio sul mondo del lavoro che annienta la dignità delle persone.
Non possiamo arrenderci, lo dobbiamo alle migliaia di
giovani disoccupati, a coloro che lavorano con contratti capestro per poche
centinaia di euro al mese con la spada di Damocle del non rinnovo del contratto
fissa sulla testa; lo dobbiamo a coloro che un lavoro ce l’hanno ma che grazie
al job act voluto dal Governo agli ordini dei padroni si ritrovano oggi anch’essi
con il rischio reale di essere licenziati dall’oggi al domani. Lo dobbiamo ai
tanti giovani che con grandi sacrifici hanno conseguito una laurea e che hanno
come unica prospettiva quella di dover espatriare per non cadere nel vortice avvinghiante
della disoccupazione dove altrimenti sarebbero condannati; lo dobbiamo a quei
giovani che sono stati assunti con la misera paga di quattro euro all’ora per
lavorare alla passerella dell’expo dove Governo e grandi catene alimentari
mondiali si fanno la bella faccia alle spalle di poveri cristi.
Lo dobbiamo ai lavoratori e le lavoratrici delle
cooperative, che oggi risultano essere tra i più maltrattati in assoluto solo perché
anche il mondo della cooperazione si è piegata alla logica della concorrenza
sleale e spesso della corruzione; lo dobbiamo a quei lavoratori e lavoratrici
della scuola e del servizio pubblico che vedono a rischio ogni giorno il loro
lavoro perché qualcuno si è inventato il sistema delle privatizzazioni per
poter costruire un servizio di collocamento parallelo dove la meritorcrazia e
il bisogno vengono messi da parte e al primo posto prevale la logica delle
assunzioni dell’amico e dell’amico dell’amico.
Amici e Compagni, questo è stato possibile perché per oltre
un ventennio abbiamo smarrito l’orientamento; abbiamo fatto si che il Primo
Maggio divenisse la passerella di servi al servizio di coloro che vogliono il
lavoro un privilegio e non un diritto fondamentale per l’emancipazione dell’uomo.
Il Primo Maggio è roba nostra, è il rinnovare il nostro
impegno a non farci calpestare da nessuno.
Non lasciamoci defraudare, viva il Primo Maggio.
Tonino Ditaranto
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