Ciao Enrico,
son passati 31 anni da quel infausto giorno del giugno dell’84
quando decidesti di lasciarci; già tanto tempo dicono in tanti; poco più di una
generazione dico io invece che guardo al tempo con gli occhi della storia.
Eppure nonostante fu ieri l’altro che ti detti l’ultimo saluto in quella piazza
gremita di milioni di uomini, questo ultimo trentennio ha sovvertito il corso
naturale della storia con cambiamenti epocali che neanche una mente futurista
come la tua avrebbe mai potuto ipotizzare. Ricordi, fu alla festa dell’Unità alla
mostra d’oltremare di Napoli nel 76, quella festa che tu tanto volesti,
affinché con il lavoro volontario di noi comunisti, Napoli e i napoletani
potessero nuovamente godere di uno spazio interminabile abbandonato da oltre trent’anni.
Ritenevi appunto che non si poteva essere un partito di popolo se non si fosse
disposti a donare qualcosa anche con il nostro lavoro a quel popolo. Fu appunto
durante il comizio di chiusura di quella straordinaria festa che facesti uno
dei più forti richiami ai diritti dei popoli, alla necessità che tutto il mondo
progressista si levasse a baluardo di tali diritti esprimendo nel contempo la
ferma condanna per le oppressioni del popolo Palestinese e del popolo Kurdo.
Ironia della sorte, lo avresti immaginato che neanche vent’anni dopo sarebbe
stato un giovane rampante che era sul palco al tuo fianco, un tal Massimo D’Alema,
a consegnare nelle mani dell’oppressore turco il capo del popolo Kurdo Ocalan?
Lo so non potevi immaginarlo, altrimenti saresti stato tu stesso a sbatterlo
fuori dal nostro partito a calci nel sedere. Come non avresti mai potuto
immaginare che un altro che con te era nella segreteria nazionale del PCI un
giorno sarebbe diventato Presidente della Repubblica e che durante il suo mandato,
anche grazie alla sua complicità, la nostra Costituzione, i diritti dei
lavoratori per i quali tu non avevi esitato a picchettare davanti ai cancelli
di Mirafiori solo alcuni mesi prima della tua morte, sarebbero stati
completamente cancellati nei loro valori più eccelsi e puntualmente da te e da
noi sempre difesi da qualunque attacco reazionario, anche con grande sacrificio
di sangue di tanti nostri compagni. Vedi Enrico, il tempo è volato via da quell’11
giugno dell’84 e col tempo purtroppo sono volate via anche tante nostre speranze.
Denunciavi al Parlamento il rischio che la corruzione e il mal’affare potesse
impadronirsi dei partiti ma non potevi immaginare che sarebbero stati proprio i
partiti a divenire tutt’uno con corruzione e mal’affare ma anche con mafia,
camorra e qualunque altro tipo di criminalità organizzata. Durante un altro
comizio ricordo che avevi citato l’episodio di un compagno segretario di una
sezione che era rimasto ucciso perché si era opposto ad una rapina in una
banca; lo portasti ad esempio perché era cosi che volevi che fossimo noi
comunisti; persone per bene che potessero essere modello di vita per l’intera
società. Ecco Enrico, era questo che mi affascinava di te, la tua capacità di
infondere nei nostri cuori il desideri di sentirci veramente utili e poter dare
qualcosa, anche con i più semplici comportamenti quotidiani a questa nostra nazione.
Sai Enrico, mi sono sempre chiesto se tu un giorno potessi
tornare se anche tu come me avresti provato quel grande senso di vomito che
oggi io provo quando guardo ciò che è divenuto quello che un giorno era il
nostro partito. Avverto spesso un senso di grande sconforto; vien voglia di
mollare, non una resa ma semplicemente di dire vabbè lasciamo le cose come
stanno, ma poi mi torni alla mente quando durante il terremoto dell’80, insieme
a noi, li tra i morti e le macerie dell’Irpinia distrutta ci desti la più
grande lezione di vita e ci insegnasti che dopo ogni caduta bisogna sempre
rialzarsi.
Grazie Enrico, solo chi non ti ha mai conosciuto non potrà
mai capire cosa era il PCI.
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