giovedì 31 luglio 2014

Cara Unità....



Cara Unità….
Avevo appena compiuto tredici anni, quell’autunno del 1969, quando Franco, mio coetaneo e compagno di scuola,  figlio di Ciro, dirigente comunista e simbolo delle occupazioni delle terre in Basilicata, mi convinse ad entrare per la prima volta nella sezione del PCI e mi propose di prendere la tessera dei giovani comunisti. Ti avevo incontrata già tante volte in precedenza, quando di domenica mio padre, bracciante agricolo, rientrava a casa con l’Unità infilata nella tasca della giacca, ma scarse volte avevo avuto modo di sfogliarti, in quanto non proponevi vignette e risultavi sempre abbastanza pesante per un adolescente come me che aveva avuto fino a quel momento interessi completamente diversi dalla politica. Da quel autunno del ’69 però qualcosa doveva cambiare radicalmente la mia vita e con essa, naturale conseguenza, l’instaurazione di un rapporto inscindibile con il quotidiano l’Unità che sarebbe durato per quasi trent’anni.
Portare l’Unità piegata in quattro, naturalmente con il titolo in bella vista e infilata nella tasca sinistra dell’eskimo era diventato ormai una consuetudine e anche un distintivo di appartenenza, negli anni in cui anche la partigianeria aveva la sua importanza e l’Unità serviva per distinguere noi comunisti aderenti al PCI da quelli che invece si riconoscevano nell’area della estrema sinistra extraparlamentare e che giravano con “lotta continua” o con “servire il popolo”.
Legame indissolubile il nostro; non sono mai riuscito a tenere il conto delle migliaia di copie che ho diffuso ogni domenica per quasi un ventennio, arrivando fin’anche a vincere un viaggio premio in Unione Sovietica che l’Unità metteva in palio ogni anno per i migliori diffusori e che fu utilizzato dal segretario di sezione visto che ero ancora un adolescente. Ogni domenica di buon ora, con il mio malloppo di copie sotto al braccio giravo praticamente l’intero paese per consegnare la copia ai compagni che non potevano passare in sezione o che purtroppo avevano impegni di lavoro. Solitamente diffondevo dalle centocinquanta alle duecento copie, ma in alcune occasioni il numero di copi saliva anche fino a toccare le cinquecento. L’unità risultava essere il quotidiano più venduto di domenica nel mio paese, superando fin’anche la Gazzetta del Mezzogiorno che era il giornale locale. Se devo affermare di aver avuto durante tutti gli anni del mio impegno politico un punto di riferimento genuino, quello di sicuro è stato il giornale fondato da Antonio Gramsci. Punto di riferimento e puntuale informazione per tutte le mie discussioni politiche di natura nazionale ed internazionale, o anche come spunto per i compiti di italiano su tematiche generali che solitamente si faceva in gruppo. La terza pagina, quella culturale era la preferita, ma non prima di aver letto il quotidiano fondo di satira politica, sempre molto piccante che si trovava nella prima pagina in basso a destra e scritto da Fortebraccio. A casa di mia madre conservo ancora quintali di copie dei miei abbonamenti che non ho mai avuto il coraggio di buttare via proprio perché mi sarebbe sembrato come se buttassi via una parte di me stesso, e anche quando l’Unità ha smesso di essere l’organo ufficiale del PCI, e pur non essendo più d’accordo con la nuova linea editoriale che purtroppo negli anni si è adeguata a nuovi padroni e nuovi interessi politici, ho continuato a vedere l’Unità come quella parte della tua famiglia che si è persa ma a cui tu continui a volere un sacco di bene.
Da anni ormai non ti compro più e ti leggo sporadicamente, ma fino a ieri quando entravo in una edicola, pur non comprandoti, mi bastava rivolgere lo sguardo al titolo della prima pagina per suscitare nuovamente in me un sentimento di reciproca appartenenza.
 Domani non sarai più nelle edicole; la paradossale situazione economica causata da coloro che spingono per una informazione sempre meno libera ma legata agli interessi di grandi gruppi d’affare, si è abbattuta anche su di te, con la grave conseguenza che uno dei quotidiani più liberi e indipendenti della storia di questa nostra Italia è costretto a chiudere i battenti. I poteri forti hanno vinto di nuovo, e con loro ha vinto questo PD sempre più colluso con i comitati d’affari e con le forze reazionarie che vogliono abbattere la democrazia in Italia.
L’unità chiude; per me è come se si sciogliesse per la seconda volta il PCI. Anche questa è una grande sconfitta, ma si tratta di una battaglia; La lotta per l’emancipazione dalla schiavitù di coloro che sono oppressi dalle ingiustizie continua, con o senza l’Unità. “Veniamo da lontano e andiamo lontano” diceva Gramsci, la strada è lunga, ma per quanto impervia che sia andremo avanti senza esitare, non più con l’unità infilata nella tasca dell’eskimo  ma stretta nel posto che si è guadagnata nel nostro cuore.

Tonino Ditaranto

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