Colpire l’ISIS nel loro punto debole: accoglienza e
integrazione.
Quello che forse non è ancora del tutto chiaro dello
scenario terroristico cui assistiamo negli ultimi tempi è il fatto che non ci
troviamo di fronte a gruppi armati classici che usavano l’arma del terrore per
minare dall’intero il sistema statutario di una nazione; quello che poteva
valere per le BR in Italia, o per l’IRA in Irlanda, gruppi “terroristici”
percepiti e ritenuti dalle rispettive intelligenze nazionali bande
delinquenziali da combattere con le normali strutture poliziesche e non
militari, ha continuato ad avere un senso anche con Al Qaeda e il suo leader
storico Osama Bin Laden, che se pure in uno scenario diverso ed allargato con
interventi anche oltre confine, era rimasto circoscritto ad azioni mirate contro
poteri di Stati costituiti al solo scopo di innescare momenti di panico e di
tensione o di colpire per ritorsione quegli Stati ritenuti colpevoli di aver in
qualche modo defraudato dei loro averi le popolazione arabe. Le azioni di
natura terroristica odierne si innescano in un contesto molto più
raccapricciante e pericoloso, in quanto non sono semplicemente concepite a colpire per ritorsione, ma hanno come
obbiettivo primario quello di mandare il messaggio di una grande potenza di
fuoco ai musulmani sparsi nel mondo che faticano nell’avviamento di un vero
processo di integrazione culturale con i paesi ospitanti e quindi possibili
adepti dello stato islamico che si intende costituire. Appunto lo stato
islamico, o per meglio dire la riproposizione del califfato del settimo-ottavo
secolo dopo Cristo, fondato da Maometto e cessato di esistere nel 1924 con il
dissolvimento dell’Impero Ottomano. Gli stessi protagonisti di questo progetto
tanto velleitario quanto pazzesco per gli obbiettivi che si propone in un mondo
di natura completamente diversa rispetto a quello di alcuni secoli fa, non a
caso sono due personaggi, un giordano il primo, Al Zarqawi che dopo un periodo
di addestramento nei campi di Al Qaeda in Afganistan si trasferisce in Iraq e
fonda il primo stato islamico definito ISI (stato islamico dell’Iraq) proprio perché
in contrapposizione con l’idea di Bin Laden che preferiva la guerra agli USA
mentre il giordano era per la guerra agli stati sciiti del medio oriente, e Abu
Bakr al Baghdadi che divenuto capo del gruppo terroristico armato alla morte di
Al Zarqawi, approfitta del caos lasciato dal ritiro degli americani dall’Iraq e
della guerra settaria tra sunniti e sciiti per proclamarsi califfo del nuovo
stato islamico di Iraq e Siria, dando cosi inizio ad una vera e propria guerra
di conquista territoriale cominciata con la conquista di Fallujah e continuata
con l’occupazione dell’intera area della cintura di Baghdad allo scopo di
isolare il Governo della fragile democrazia imposta dagli americani. La
differenza tra il terrorismo classico inteso sino a qualche anno fa e quello
attuale del nuovo stato islamico, sta proprio nel fatto che Al Baghdadi non si
limita agli attentati terroristici o alle decapitazioni dei cosiddetti
infedeli, lo fa dimostrando una grande conoscenza dei meccanismi moderni di
comunicazione per lanciare la sua campagna di proselitismo nel mondo e lo fa
anche con una vera e propria guerra di occupazione dei territori che una volta
si estendevano dal Nilo al Giordano per ridisegnare i confini del medio
oriente. Il suo esercito avanza dimostrando una grande padronanza dell’uso
delle armi, occupa territori, scaccia o trucida le popolazioni che non
intendono sottomettersi alle leggi della più rigida tradizione sunnita ma nel
contempo dove arriva costruisce strade, garantisce energia elettrica e offre
una serie di piccoli privilegi fin’ora completamente interdetti al popolo dai
governi filo occidentali o dittatoriali corrotti. Al Baghdadi ha dimostrato
fino ad ora di saper dosare bene l’uso del bastone e della carota ed è in
questo modo che intende continuare con il suo progetto di realizzazione del
nuovo califfato. Il dilemma di noi
occidentali oggi è quello che di fronte ad una tale dimostrazione di capacità
organizzativa dello stato islamico, non dimentichiamo che al momento può
contare su un vasto territorio, quello siriano, ricco di pozzi petroliferi che
gli garantiscono guadagni per oltre due milioni di dollari al giorno e di
centrali elettriche, il dilemma dicevo è che non sappiamo se possa essere più
funzionale una azione di guerra diretta contro le milizie di Al Baghdadi o
continuare con l’appoggio esterno e il foraggiamento di armi e munizioni al governo
siriano, a quello iraqeno e ai gruppi di dissidenti che combattono sia i
governi istituzionali che le milizie sunnite dello stato islamico. Io credo che
in entrambi i casi lo scopo non potrà mai essere raggiunto se nel contempo non
si avvia una vera azione di ridistribuzione delle ricchezze, ma anche di
diritti ai popoli del medio oriente. Quello che non va mai dimenticato è che ci
troviamo di fronte a popolazioni costrette a vivere ai limiti della decenza
umana, popoli che sentono forte la carenza di dignità e sovranità nazionale
cosi come la possibilità di poter essere protagonisti nelle scelte e nelle
decisioni dei propri governi. Per questo tanti, soprattutto tra quelli che vivono fuori
dagli stati arabi, vedono nella
costruzione di un nuovo califfato la possibilità (sbagliando)di poter essere
finalmente protagonisti del proprio destino ed esultano anche di fronte a stragi
di persone innocenti negli attentati di Beirut, l’abbattimento dell’aero russo o gli attentati
di Parigi. L’unico punto debole fino adesso dimostrato da Al Baghdadi e che lui
non aveva previsto è il fatto che di fronte alla sua avanzata nella occupazione
di nuovi territori, la stragrande maggioranza delle persone scappa e non
accetta di sottomettersi a leggi di una estrema crudeltà ed inciviltà per i
tempi moderni; scappano per venire da noi e trovano muri invece che ponti. A
noi oggi la scelta, continuiamo ad innalzare pareti e darla vinta a quelli dell’ISIS
o invece tendere la mano ai nostri fratelli e vincere per davvero questa
assurda guerra?
Tonino Ditaranto
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