lunedì 19 settembre 2011

Cultura e culture
Arricchendo costantemente la propria cultura, si tenta, anche se invano, di avvicinarsi all'irraggiungibile traguardo della Perfezione, attraverso la conoscenza di quanto di meglio, ma anche di peggio, si è detto, fatto e pensato, dagli albori dell'umanità ai giorni nostri, sulle questioni che più ci interessano; un Sapere Totale è impensabile, forse anche per Domineddio. Non è però vero, secondo me, che la cultura ci renda sempre liberi; alle volte capita proprio l'opposto, ce ne sentiamo impastoiati ed invischiati, come la voce di Mick Jagger sulle note delle sue canzoni, come mosche sulla carta moschicida. Come loro, su quella trappola, si muore, lentamente, ma inesorabilmente. Io poi, come tanti altri, ho compiuto l’errore di trasformare in professione la mia cultura, ed ancora oggi mi chiedo se le sementi che ho sparso al vento, qua e là, per decenni, avranno attecchito e se erano di buona qualità. E la mano, allora, mi corre al revolver, ma non nel senso che le dava Goering, bensì nel tentativo di fermare un cervello che rigurgita di troppe nozioni e non smette mai di riversarle all'esterno, sempre e dovunque, come un vulcano hawaiano. E' anche vero che un uomo veramente saggio non ha una vasta cultura, altrimenti sarebbe assimilabile alla Treccani e, come quella, sarebbe spesso molto pesante. Ma chi può definirsi colto, allora, e che significa cultura?
Si dovrebbero riconoscere le persone colte dai loro frutti; ma i frutti sono tanti, milioni di milioni, come le stelle dello spot di Negroni; hanno sapori diversi, a chi piace l'uno, a chi l'altro, chi fa smorfie e disdegna quello che a noi piace tanto, e viceversa. L'Ulisse dantesco, ad esempio, per sete di conoscenza, si cacciò alle spalle dolcezza di figlio, pièta del vecchio padre ed il debito amore, lo qual dovea Penelope far lieta. Si potrebbe anche iniziare con il conoscere se stessi: Gnòthi seautòn, disse, forse, un tempo, Solone. Ma è preferibile lasciare sul fondo del calice la feccia amara ed iniziare sotto migliori auspici analitici: potremmo avere brutte sorprese. Si dice che non è tanto difficile sapere, quanto fare buon uso di ciò che si sa, tanto o poco che sia, compreso il corretto montaggio di un ordigno esplosivo per un attentato. “Que sais-je?” stava inciso sulla medaglietta che portava al collo un sapiente come Michel de Montaigne; gigione, che pecca di falsa modestia! Accontentiamoci dunque di sapere solo qualche cosa, il troppo stroppia, nec scire fas est omnia, non è possibile sapere tutto, anche perchè nemo ad impossibilia tenetur, ossia nessuno deve sentirsi obbligato ad imprese impossibili. Anche per quanto riguarda se stessi e le persone a noi più vicine, è molto meglio conoscerne solo una parte, non il tutto. Ed anche quel poco che sappiamo, soprattutto di noi stessi, lo dobbiamo alla nostra ignoranza, che, per questo settore, scientemente, coltiviamo e manteniamo intatta. L'ignoranza è alla base delle più belle tradizioni e delle credenze più ingenue e poetiche; una volta persa la nostra virginale insipienza su certe faccende, mai più riusciremo a recuperarla. Qual dolore, che tremenda delusione non fu mai, per tanti di noi, bimbi candidi, ingenui ed innocenti, la triste scoperta che San Nicola, Santa Lucia, il Bambin Gesù, persino quella racchia della la Befana, non esistevano? Un colpo orrendo, uno shock psicologico alienante. Solo un certo Franti, quell’infame, sorrise… Proprio ora mi sono accorto che, come al solito, ho infarcito di citazioni, spesso in latino, la mia pappardella; sono inguaribilmente malato di cultura classica, e le mie dita sanno solo sfogliare pagine, impugnare una biro per scrivere, o pigiare su una tastiera, con lo stesso fine. Sì, un tempo, durante le attese ai semafori, me le infilavo anche nel naso, ma ora i semafori sono stati sostituiti dalle famigerate rotonde e non ci si può più distrarre con simili operazioni di igiene rinologica. Ci sono stati illustri scrittori, pensatori e filosofi che hanno definito il classico sano, sincero, dominatore della vita, ed il romantico, al contrario, malato, sottomesso e menzognero; mio Dio, ma allora sono una sentina di questi difetti orripilanti, da romantico quale mi sento, e forse anche sono! A volte, seguendo le azioni che, con disarmante abilità, compiono, in casa mia, gli artigiani cui ricorro sovente, mi interrogo, in silenzio, e mi chiedo a che mai valgano le mie sopraffine conoscenze di Liceo classico, la mia laurea in Lettere, la mia specializzazione in Psicologia. Io, che squarcio i muri nel tentativo di piantarci un chiodo e mi martello le dita, che non riesco ad avvitare correttamente una vite, che monto alla rovescia anche gli oggetti più semplici ed elementari, dopo aver nominato tutti i santi del calendario. Spesso esterno il mio pensiero agli artigiani in questione, ed essi mi rispondono, per la loro humanità, come scriveva Machiavelli, con una certa bonaria commiserazione; saggiamente, mi ribattono che ognuno possiede il proprio ambito particolare di sapere e di conoscenze, e che, a loro volta, anche loro invidiano la mia cultura. Io so bene che le persone istruite non debbono essere prese troppo sul serio e li perdono, anche perché loro sanno bene quel che si e mi fanno, e il peggio che mi possa capitare è di essere compreso. Forse sono in buona fede, ma, mentre li ascolto, con un certo sorriso beota stampato in viso, pensando a dove abitano, che auto guidano, dove trascorrono le loro ferie, mi sento un poco preso per i fondelli, come l'avvocato della farsa di Mastro Pathelin e Agnelet, e mi scaglierei un martello sulle dita delle mani, ed anche dei piedi! Che l'inse?...
Franco Bifani

6 commenti:

Ambrogio ha detto...

Non sei mai stato tentato di invertire il pensiero "Arricchendo costantemente la propria cultura, si tenta, anche se invano, di avvicinarsi all'irraggiungibile traguardo della Perfezione" nel modo seguente "Arricchendo costantemente la propria cultura ci si allontana dalla iniziale Perfezione"?
Certamente non abbiamo più la freschezza racchiusa in questa affermazione, ma sarei curioso un tuo parere da uomo acculturato.
Un saluto.

Franco Bifani ha detto...

Ambrogio, tu vuo' ch'io rinovelli disperato dolor che 'l cor mi preme ecc... Io credo che tutto dipenda dal tipo di cultura che si coltiva nel proprio orticello o latifondo, a seconda dei casi. Ceeto, l'Australopithecus ergaster aveva, in nuce, 5 milioni di anni fa, un potenziale culturale assai superiore al nostro. E fino a qualche migliaio di anni orsono, tutti sapevano fare tutto e sapevano anche tutto; ora le nostre culture sono sempre più specializzate, parcellizzate, frantumate, disperse e di nicchia, post-moderne e post-atomiche. Fu quando a qualcuno venne l'idea di inventare la scrittura che le cose si complicarono, perchè prima si poteva dire quel che ci passava per la mente, con voli pindarici, con interpretazioni personali di rara fantasia. Dopo, invece, verba volant, scripta manent, neri scarabocchi irripetibili nella loro dura e pesante concretezza. Bei tempi, quando si poteva dire ma non scrivere, acqua, akkua, aqqua, accua, aqcua, che tanto poi il suono era poi sempre quello. Scrivendo, l'errore è sempre in agguato, maledetta cultura!

Ambrogio ha detto...

Grazie della risposta che può considerarsi esaustiva.
Ma vedi, noi, alla nostra età, possiamo solo prendere in considerazione di coltivare l'orticello degli anziani e possiamo anche coltivare gramigna.

Franco Bifani ha detto...

No, Ambrogio, non buttiamoci giù così; io ti leggo sempre e mi stai fornendo notizie su Fidenza, il suo passato artistico, compreso un grande Ponzi Ettore, il suo presente non sempre roseo, che veramente sono interessantissime. Ho per te un grande rispetto ed una stima altissima. Sei un grande coltivatore, persino un latifondista, altro che orticello degli anziani. Io, come vedi, mi limito a fare autoironia su di me e sulla mia, chiamiamola così, cultra.

Anonimo ha detto...

Se tutta la conoscenza che circola oggigiorno, corrispondesse alla stessa dose di sapienza, il mondo rasenterebbe davvero la perfezione; ma, purtroppo o per fortuna...non so, così non è. Anzi, da ignorante quale io sono, direi che tanta "cultura" nozionistica pilotata, ostentata, mercificata, spesso usata per gratificare un certo narcisismo latente o per colmare vuoti incolmabili del carattere e della personalità, anzichè favorire la nostra apertura mentale "ci" ha reso al contrario (complice il vile denaro), più gretti e individualisti.
La ricerca della conoscenza è forse il trastullo più piacevole e più "nobile" del genere umano, poichè "fatti non fummo per viver come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza" (scritto giusto?)....e anche, una continua sfida con se stessi, per affermare la propria superiorità sui propri simili e sugli altri esseri viventi.
Io personalmente sono una grande sostenitrice delle attività manuali e creative che scaricano le tensioni mentali, allontanano i cattivi pensieri, ci predispongono alla serenità con noi stessi e con il mondo e, di conseguenza, favoriscono anche una migliore attività intellettuale.
Maria

Franco Bifani ha detto...

Innanzitutto tu, Maria, non sei un'ignorante, lo si vede anche solo da come e da quello che scrivi. Se la cultura diventa, come tu denunci qui, culto di se stessa, ed è utilizzata solo come ostentazione di un cumulo di nozioni, allora è deleteria; se invece può servire a conoscere meglio e più a fondo soprattutto gli uomini, nella loro complessità psichica e nella loro sostanza spirituale, allora è indispensabile. Il cretino che fa la ruota da pavone con la sua, chiamiamola così, cultura, è penoso; più che ad un pavone, lo rassomiglio ad un tacchino. Io ho grande rispetto e stima per gli artigiani e per chi sa fare lavori manuali; di fronte a loro mi sento un tapino incapace e goffo.