mercoledì 2 febbraio 2011

INDOVINA CHI VIENE A CENA? (di F.Bifani)


That's the question, tale era la domanda, che mi ponevo, per tutto il giovedì, e che mi ornava di punti interrogativi il capo, simile all'icona degli acquarelli Presbitero, di antica memoria. Alla notizia che, ad una spaghettata chez Carduccio Parizzi, avrebbe partecipato nientepopodimeno che il sindaco Cantini, ero rimasto intimorito e titubante, dato che, solitamente, non frequento maggiorenti dei governi locali o nazionali. Tastavo il terreno, tipo lumaca che estroflette le corna, e poi le ritira, subitamente, rimuginando e riflettendo. Tutto in fervore, con tre boccioni di vin bianco in una busta, quale lasciapassare e salvacondotto per l'ammissione al consesso, mi sono portato, alle 8 della sera, sotto le mura rossastre della magione di Parizzi. Ivi erano già all'opera l'immancabile Tonino, agit-prop di SEL e il padron di casa,, sempre con la sua flemma britannica. Tonino stava preparando delle linguine, che avrebbe coniugato con un polipo a tocchetti in sugo rosso.
Si erano poi aggiunti Villi Vernazza e Guido Giombi; di Villi invidio una graziosa compagna di vita, di Guido l'età, dato che potrebbe essere mio figlio. E' stato più tardi introdotto anche l'architetto Delledonne, abbigliato, così subito a colpo d'occhio, alla sinistrese, con sciarpina annodata al collo ed occhiali con spessa montatura nera, alla Pasolini. Mi sono sentito sbalzato indietro di 45 anni, nel '68 milanese di Capanna, di Curcio e dei katanghesi di scorta. Dopo una mezz'oretta, insieme ad un certo Aiello, consigliere comunale, è comparso anche il sindaco. Io ero l'unico Antonio Laqualunque della compagnia, politicamente parlando, ma la cosa non mi toccava, finchè si lavorava di ganasce. Le linguine di Tonino erano superbe, con quel polipetto, tenerissimo, che si squagliava in bocca, ed il sughetto rosso, della giusta consistenza, pudicamente piccante. Ne ho mangiati due piatti; il secondo avrei voluto condividerlo con Cantini, che aveva richiesto il bis un secondo dopo che io ci avevo infilato la mia forchetta.
Dato che era di una quantità spropositata, ne avrei volentieri data una buona metà a Mario. Mi pareva di assistere a quello spot del formaggino Philadelfia: “Avrei gradito ancora un po' di...” Ero mortificato, ma Cantini mi ha consolato, paternamente e maternamente. Nell'immediato dopocena, tra i due avversi schieramenti, del PdL e di una variegata sinistra, si era acceso un infuocato dibattito, pro e contro Berlusconi; io mi sono ritirato in buon ordine, stravaccato in una poltrona, da ignorante della politica, a volte benevolmente considerato da Cantini, pacato e moderato, nella diatriba. Devo riconoscergli che, caso più unico che raro nel mondo dei Prominenten, locali o nazionali, è una persona alla mano, semplice, affabile, assolutamente aliena da arroganza od alterigia da potere. A lui e a Delledonne, che ogni cinque minuti, come un meccanismo ad orologeria, ribadiva che lui era “fortemente di sinistra” e “di grande onestà intellettuale”, cercavo disperatamente di lanciare messaggi neutri, con considerazioni sibilline, tra la filosofia della storia, la psicologia delle masse e la sociologia politica, ma Delledonne non mi filava per niente, Cantini mi rispondeva, ma piuttosto perplesso e titubante. Il tutto era avvolto da maligne e dense spire caliginose di fumo di sigarette, accanitamente aspirate da un consesso di tabagisti forsennati. A me, con problemi serii agli occhi, scendevano lacrimoni amari dai globi oculari irritati, ma non osavo protestare. Si asteneva dal fumo solo Mario Cantini. Mi avvicinavo al gruppo vociante solo per “pocciare” nel vino bianco dei cantuccini squisiti. Mi era venuta anche una sete assassina; seduto accanto a Tonino, a dimostrazione della mia vista di falchetto, mi sono versato mezzo bicchiere del suo olio extravergine lucano, contenuto in una bottiglietta di acqua Lilia; e ne ho bevuto anche un sorso, tra le risa di Tonino. Alle 23,30, in considerazione del fatto che la mogliera era su ad aspettarmi, mi sono congedato. E qui è iniziato un finale da Re Lear, abbandonato dalle figlie, dagli amici, senza accanto a sé non dico il Conte di Kent, ma nemmeno il buffone di corte. Appena fuori dell'uscio, brancolando come un'ameba, cercavo l'interruttore della luce; ma c'era stato come un lampo ed era mancata la corrente, come nei films horror di Romero e Hooper. Brancicando, ho raggiunto l'ascensore, scendendo al pianterreno, dove un Carduccio intirizzito come un'antilope in Antartide, mi ha aperto il cancello. Me ne sono andato, inghiottito dall'inchiostro nero della notte di Borgo. Ivi furono pianto e stridore di denti; riuscivo a malapena a scorgere la sagoma del mio condominio, che pure dista 200 m. dal palazzo di Carduccio. Strizzando le chiappe, ho attraversato la strada, col timore di non avvedermi dell'arrivo di qualche auto. Prima di raggiungere casa mia, che per piccina ch'essa sia, mi pare una badìa, come Cristo lungo la salita al Golgotha, sono caduto per ben due volte, non avvedendomi di un paio di “pecche” sul percorso. A casa, mia moglie mi ha duramente redarguito, perchè non ero ricorso al suo aiuto. Ma insomma, anch'io son figlio di Dio, ed ho ancora una certa dose di orgoglio, non mi va di fare sempre l'ipovedente con tanto di cane-lupo al fianco. A quando la prossima cena? Mi munirò allora di un caschetto con faro incorporato, modello minatore cileno, per il ritorno a casa.
Franco Bifani

2 commenti:

Garulli Luca ha detto...

Interessante ricostruzione storica.
C'è un motivo percui i blog "Diario di Fidenza" ed "il Fidentino" hanno rimosso lo stesso articolo lunedì sera dopo averlo pubblicato in precedenza ?

Villiam Vernazza ha detto...

No, Luca, nessun motivo, solo un vezzo...