mercoledì 22 giugno 2011

Partito o movimento?

Partito o movimento?

Dalla fine del fascismo ad oggi la partitocrazia ha determinato le scelte politiche e la vita degli italiani condizionandone i comportamenti e  i modelli di vita, oggi sempre è più frequente la domanda che non solo gli osservatori ma i cittadini stessi si pongono circa l’attualità in una società che è notevolmente cambiata di una forma partitica sempre più distante dalla società e dai suoi bisogni.
Fino alla fine degli anni ottanta e prima del terremoto politico che si abbattè sui partiti con tangentopoli, alcuni di essi erano strutturanti secondo la logica del centralismo democratico, il PCI in particolare, altri, la DC e il PSI secondo quella delle correnti.
Tangentopoli determinò la caduta di quelle forme partitiche e la nascita di altri apparentemente più democratici e vicini alle aspettative degli aderenti. Alla luce di quanto successo negli ultimi vent’anni, siamo sicuri che questa ventilata nuova democrazia sia stata tale o non si sia trattato in definitiva di una grossa bufala messa in atto solo per calmare le pressanti richieste di cambiamento provenienti dalla società civile?
Verso la fine degli anni novanta e l’inizio del nuovo secolo nella sinistra italiana sembrò aprirsi una fase nuova che lasciava presagire un periodo di rinnovamento reale, sia nelle forme organizzative che nei contenuti, furono gli anni di Nanni Moretti che con il movimento dei girotondini da una parte apriva il dibattito nella sinistra moderata dei DS mentre dalla parte della sinistra più radicale il  Social Forum di Firenze sembrava potesse aprire nuove prospettive partendo proprio dagli errori del G8 di Genova facendo fare una inversione di tendenza allo stesso Bertinotti che con l’apertura ai movimenti portò Rifondazione ad uscire dall’isolamento arrivando a sfiorare il 10% dei voti alle politiche successive.
Cosa ne è stata di quella ventata di nuovo suscitata da Nanni Moretti e dal Social Forum di Firenze?
Si sono succeduti i governi di centro destra con le parentesi di due Governi Prodi e di un fine legislatura di D’Alema.
Il primo Governo Prodi deragliò miseramente sulle trentacinque ore proposte da Bertinotti a poco più di metà legislatura, cui segui il Governo D’Alema nato dalle ceneri di Prodi con la complicità dei fuoriusciti di Rifondazione (PdCI) che segnò una inversione di tendenza rispetto alle novità dei movimenti, furono gli anni che videro l’Italia per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale tornare all’uso della forza per risolvere i conflitti internazionali; fecero il loro ingresso nella legislazione italiana le leggi sul precariato; videro l’Italia venir meno al principio di ospitalità sancito dalla costituzione verso i rifugiati politici consegnando Ochalan (capo del Partito Comunista Kurdo) alla Turchia, Stato questo riconosciuto dalla stessa Comunità Europea come trasgressore dei diritti civili e che fino a quel momento si era già macchiato dello sterminio di oltre un milione di Kurdi.
Il secondo Governo Prodi non andò oltre la durata del primo, e nato non da un progetto politico ma dalle intenzioni di più parti di porsi come alternativa a Berlusconi, non poteva finire diversamente vista la diversità culturale ed ideologica delle forze che lo componevano.
Oggi, in piena crisi del berlusconismo, si ripresenta il problema di creare una alternativa.
Bersani e Vendola guardano sempre con maggior attenzione alla novità del terzo polo, senza disdegnare delle occhiatine da parte del PD alla stessa Lega.
 La storia del recente passato come mai non ci ha insegnato nulla?
Non si può costruire un progetto di governo solo sul reciproco desiderio di mandare a casa Berlusconi, una alternativa si costruisce sui contenuti e le differenze ideologiche trà sinistra e terzo polo sono cosi marcate che un eventuale Governo formato dall’unione di quelle forze sarà destinato a fare la fine dei precedenti.
La recente vittoria dei SI ai referendum ha dimostrato che esiste in Italia la possibilità reale di determinare una svolta epocale, la gente vuole tornare ad essere partecipe delle scelte e dei cambiamenti, e lo si evince dal come, al contrario degli stessi partiti, si è lanciata nella campagna referendaria partecipando attivamente al lavoro dei comitati,  all’informazione mediatica attraverso l’utilizzo dei social-network, fungendo in molti casi da traino per i partiti stessi.
Non solo i referendum, in molte città italiane sono sempre più numerosi i movimenti spontanei di cittadini che si costituiscono su questioni locali ma non meno importanti, dai comitati sull’acqua pubblica, a quelli contro gli inceneritori e su materie ambientali, oltre che su quelli di natura più specificatamente politici come il lavoro e il precariato.
Quello che non riuscì ieri a Nanni Moretti e ai ragazzi di Firenze, sembra avere un maggiore successo oggi calato nelle realtà territoriali, dove sempre più spesso riesce a determinare dei cambiamenti e in molti casi addirittura la vittoria della società civile nelle elezioni amministrative.
A queste novità oppongono ancora molte resistenze i partiti storici della sinistra (PD) che non sembrano cogliere le effettive spinte innovatrici che provengono da esse, mentre altri partiti (SEL, IDV) che pur nel loro linguaggio quotidiano pare vogliono aprirsi alle richieste che provengono dalla società civile restano ingabbiati da una classe dirigente molto più attenta alle politiche delle spartizioni e degli accentramenti delle decisioni (altro che centralismo democratico) che li portano sempre più lontani e distaccati dai movimenti stessi, preoccupati più per la tenuta dei buoni rapporti con i possibili alleati che per la loro presenza sui problemi del territorio,  come dimostra il caso parmigiano di SEL che nonostante il proprio congresso provinciale abbia detto no all’inceneritore,  si preoccupa di non irritare il PD, che l’inceneritore lo vuole a tutti i costi, evitando di parlarne pubblicamente o di prendere posizioni al riguardo.
Credo che dopo 65 anni di repubblica sia arrivato finalmente il momento di rinnovare il sistema politico italiano partendo proprio dalla regolamentazione dei partiti, pensate che non esiste una legge in Italia che ne regoli il funzionamento  e la loro democrazia interna. I partiti non possono più essere l’espressione di pacchetti di voti, di lobbies o di caste, ma aprirsi al dibattito necessario che deve coinvolgere la società civile, d’altro canto gli stessi movimenti non possono sperare di durare in eterno se non si danno quel minimo di strutturazione necessaria che li permetta di vivere e continuare le proprie battaglie che non possono concentrarsi esclusivamente su temi specifici ma allargare le proprie vedute a 360 gradi e far si che si diano più risposte ai diversi problemi.
In sostanza credo che sia giunto il momento che i partiti imparino ad essere movimento e che i movimenti comincino a darsi una adeguata struttura, una forma partito-movimento che mentre da una parte assicuri la necessaria organizzazione, dall’altra mantenga quella genuinità e democrazia propria dei movimenti.

Tonino Ditaranto

1 commento:

Franco Bifani ha detto...

Tonino, sono convinto che nei partiti, soprattutto in quelli italici, il peso nella stiva e gli scheletri negli armadi siano rappresentati specialmente dai vecchi burosauri immobilisti e dai giovani, affetti da progerìa, che ne costituiscono la corte di buffoni e e giullari. Sia i primi che i secondi, dopo aver sgomitato, urlato slogans nei megafoni, essersi sbracciati per dare ad intendere che erano la crème del ribellismo, una volta arrivati al micro o megapotere, si siedono, come budini molli, come la maionese mal riuscita, aggrappati ai loro privilegi, come ostriche ad uno scoglio. Dopo aver lottato, bisogna continuare continuare a realizzare ed a concretizzare le conquiste ed i progetti per cui si era combattuto.